giovedì 28 luglio 2016

Don Borello, prete e scienziato, inventore del cronovisore

Questo articolo è relativo ad un ipotetico incontro che l’autore ha inteso immaginare con Don Luigi Borello, il prete-scienziato di Alba (Cn), scomparso il 22 febbraio del 2001, che aveva ideato una teoria fisica, supportata dal sapere scientifico, di realizzare un apparecchio capace di ‘leggere’ i ricordi impressi nella materia inanimata, preso per assunto che la materia e lo spirito siano dicotomizzati, separati inequivocabilmente.

Don Luigi Borello era nato a Pezzolo Valle Uzzone (Cn) nel 1924 ed era divenuto sacerdote nel ’50, cresciuto educato presso la Società San Paolo di Alba, dove la sua innata propensione alle discipline scientifiche aveva trovato un eccellente maestro nel professore di fisica, chimica e matematica don Enzo Manfredi (l’inventore antesignano del tubo catodico, morto nel 1977). Don Borello fu certo il più dotato fra gli allievi del maestro e ne ereditò, insieme al gabinetto sperimentale, la passione geniale per la ricerca e la realizzazione scientifica, cui dedicò ben 35 anni di vita. Quando nel 1964 egli abbandonò il laboratorio del liceo San Paolo, in gran parte da lui creato, per la riviera ligure (si era trasferito a Varazze per gestire una colonia elioterapica diocesiana), si era portato dietro soltanto un vecchio oscilloscopio a raggi catodici, il prototipo sul quale aveva iniziato i primi esperimenti sulle rimanenze delle luci e dei suoni sulla materia, oltre ad una montagna di appunti. Questi servirono a ‘La Domenica del Corriere’, sul cui numero del 2 maggio 1972 comparve un articolo dal titolo: “La macchina del tempo”. Qui si affermava che era stato inventato un congegno con il quale era possibile vedere le immagini e sentire i suoni del passato non fissati con i consueti mezzi di registrazione, ma con un nuovo strumento che era in predisposizione. L’inventore di questo strumento, in grado di captare suoni e immagini del passato, verrà rivelato nel 1988 sul ‘Secolo XIX’ di Genova, in un’intervista concessa da don Borello, in cui si parla di un “prete di Varazze che studia la ‘cronovisione’ ed afferma che la materia inanimata abbia una memoria, la quale è stata captata in quell’anno stesso dal ricercatore francese Jacques Beneviste, come rivela la rivista inglese ‘Nature’”.
In breve, don Borello aveva studiato la famosa ‘teoria neutrinica’ di Cesare Colagneli, fisico italiano ‘miscredente’ rispetto all’accademia, capace di teorizzare, in un testo molto complesso quanto completo, la possibilità rivoluzionaria di percepire le ‘tracce mnestiche’ (tracce di memoria energetica) che la materia percepisce in qualunque punto dell’universo, proprio perché la materia è energia e l’universo è energia. Ogni ‘cosa’ è perturbata da un movimento energetico delle particelle subatomiche e pertanto ogni oggetto conserva la traccia energetica di quanto ha ‘vissuto’: è acclarato da decenni, ormai, che l’energia non si crei né si distrugga, ma si trasformi.
“Lo spazio è un pieno continuo nel quale non è possibile esista il vuoto. Ogni volta che i suoni o le immagini di un avvenimento colpiscono la materia, vengono in parte trasformate in energia statica che può, in determinate condizioni, essere di nuovo suscitata. Una forma di energia finora sconosciuta”, asserisce il prete albese. La scienza capace di leggere la materia è la ‘cronovisione’ e lo strumento di lettura, descritto da Borello, è da lui chiamato ‘cronovisore’. A questo punto, è d’uopo citare padre Pellegrino Ernetti, monaco benedettino a Venezia, musicologo, filosofo e scienziato che, in un articolo del 1972 affermava che sin dalla seconda metà degli anni ‘50, insieme ad un gruppo di famosi scienziati, tra i quali Enrico Fermi e Wernher von Braun, avrebbe progettato e infine costruito il cronovisore, una macchina capace di vedere avvenimenti accaduti nel passato, che Ernetti chiamava ‘macchina del tempo’. Il principio fisico che permetterebbe il funzionamento di questa macchina sembrerebbe riassumersi nella teoria secondo cui ogni essere vivente lascia dietro di sé, nel tempo, una traccia costituita da una non ben identificata forma di energia. Tali tracce visive e sonore rimarrebbero ‘impresse’ nell’ambiente nel quale si manifestarono.
Torniamo a Borello, il nostro ‘intervistato albese dall’aldilà’.
Tra gli illustri maestri riconosce Albert Einstein (teoria della relatività), Erwin Schrödinger, Niels Bohr, Otto Wiener ed appunto Cesare Colangeli che, con la teoria neutrinica, riuscì a determinare l’unificazione del ‘campo’, realizzando il sogno di Einstein: ossia, le leggi del ‘campo’ sono valide sia per la radiazione che per la materia, dando ragione di ambedue con un’unica formula, la quale varia soltanto per un coefficiente numerico diverso tra radiazione e materia.
La teoria neutrinica studia ed interpreta i fenomeni naturali partendo dai concetti di ‘campo’ e ‘spazio’.

Luigi Borello
Borello scopre e comprende che la materia rappresenta grandi riserve di energia e l’energia rappresenta la materia. “Di conseguenza, non si può procedere ad una distinzione qualitativa fra materia e campo: si ha materia dove la concentrazione dell’energia è grande; si ha campo ove la concentrazione dell’energia è debole. Ma nella nostra nuova fisica non c’è più posto per il binomio campo e materia”.
Il risultato clamoroso, come afferma anche la fisica quantistica del 21° secolo, è che non c’è che una sola realtà: il campo.

Così, la teoria neutrinica, dopo aver definito lo spazio (o campo magnetico), ci dà modo di capire che cosa siano le onde elettromagnetiche che, interagendo tra loro, si traducono in una polarizzazione, onda che avanza da un neutrino all’altro e costituisce la traccia mnestica (neutrini che permangono sotto forma di polarizzazioni statiche), e che si fissa nella materia inerte e nel sistema nervoso centrale dell’individuo, tramite la traduzione operata dagli organi di senso, avendo essi la stessa base.  Sbalorditivo: è possibile recuperare le tracce energetiche per vedere cosa è accaduto nel passato al momento dell’osservazione.

Parola di don Borello: “La cronovisione, termine da me coniato, è il nuovo mezzo tecnico con il quale è possibile, operando su qualsiasi agglomerato di materia inerte, che sia stato impressionato da immagini o da suoni, rivedere dette immagini e risentire tali suoni che in passato hanno lasciato tracce nell’impatto con la materia”. In campo religioso, ad esempio, don Borello sognava che ognuno con la cronovisione avrebbe avuto la possibilità di vedere il Cristo dalla nascita alla morte, vedere come agisse, ascoltare quello che dicesse con la mentalità critica che abbiamo oggi e di poter giudicare se veramente egli era l’inviato di Dio, il Figlio di Dio, Dio egli stesso (da buon sacerdote, don Borello si premurò di far conoscere alle autorità del Vaticano le virtù conoscitive del nuovo mezzo elettronico, senza ricevere alcun divieto). Peraltro, nel suo testo ‘Come le pietre raccontano’, egli avverte il lettore che “per le acquisizioni alle quali siamo arrivati, essendo consci di tutte le conseguenze che il nuovo mezzo può comportare, ritardiamo per ora qualsiasi accordo con le case costruttrici di apparecchiature elettroniche, le quali potrebbero senza grandi difficoltà iniziarne la produzione e la diffusione indiscriminata, senza tener conto delle violazioni che ne potrebbero derivare di segreti anche molto delicati che ognuno desidera conservare”.

Don Borello preservò il brevetto dell’apparecchio, ma s’intuisce chiaramente che esso assomigli ad una specie di sonda che preleva le tracce mnestiche registrate nella materia: si opera così in due fasi, l’apprendimento ed il riconoscimento. Si tratta di operazioni note agli esperti elettronici.

In conclusione, il padre albese, assieme al suo maestro ed a noi di scienziati che fanno impallidire le nostre membra, per la loro sconfinata sapienza, riuscì a cogliere e mettere parzialmente in pratica qualcosa di miracoloso, che poi venne rigorosamente insabbiato da chi di dovere. Ma qualcuno sa tutto e ne abbiamo avuto una prova giornalistica: un anonimo personaggio milanese, possiede un documento che testimonia, inequivocabilmente, che l’apparecchiatura esista, che sia smembrata in tre blocchi, conservati in tre città differenti e distanti, e soprattutto che funzioni. Proprio come i personaggi di quest’intervista avevano chiaramente indicato.
Ma la conoscenza, purtroppo, spesso eleva la condizione umana e spesso la infossa: sta a noi cercare la verità.

Paolo Pulcina
(Precedentemente pubblicato su "L'imprevisto")

giovedì 21 luglio 2016

Alchimia: l’Arte Regale del finito e dell’infinito

Potrebbe sembrare sciocco, per non dire assurdo ed inutile, trovarsi a parlare di alchimia oggi, nel XXI secolo, epoca padroneggiata dalla scienza e dalla fede disarmante che l’uomo nutre per in essa. Eppure, sono molti ancora oggi ad occuparsi dell’Arte Regia, una disciplina tanto rigorosa quanto misteriosa e profondamente sconosciuta: i segreti della Natura sono ancora nascosti in questa criptica scienza, capace di unire fisica e metafisica in un solo interminabile amplesso. L’Alchimia non ha quasi nulla da spartire con la scienza moderna: “quasi”, perché in verità la parte più speculativa degli scienziati è molto più alchemica, filosofica di quanto non si pensi! È una questione di approcci e vediamo di capirne qualcosa di più. Se la scienza pretende l’applicazione rigorosa del “metodo” da parte di ogni sperimentatore, l’alchimia possiede un metodo ancor più rigoroso che però non gode della ripetibilità: è soggettivo, individuale. Come dire: il metodo di ricerca è sempre lo stesso, ma i risultati riescono solo a qualcuno, mentre qualcun altro rimarrà deluso! Questo, per uno scienziato è inammissibile perché non dimostra la verità oggettiva degli esperimenti. L’alchimia, invece, segue una prospettiva diversa: è una disciplina individuale, fondata tanto sulla spiritualità quanto sulla sperimentazione empirica. Perciò, gli ambiti di ricerca sono differenti.


Passiamo a fare chiarezza più nello specifico sull’alchimia, dopo questa breve introduzione. L’alchimia nasce nell’Antico Egitto, dove veniva associata al “khem”, la “terra nera” del Nilo che, una volta seccata, nutriva col suo sale prezioso la terra, fertilizzandola e dandole vita (curioso notare che il biblico Cam, fratello di Sam e Jafet, figli di Noè, derivi il suo nome proprio dal khem egizio…). La parola “alchimia” è stata poi consolidata dagli arabi, passando attraverso al greco antico, con la connotazione di “sale” (al-kymia ossia il-sale): infatti, l’alchimia, in fondo, è l’arte di concepire e manipolare i sali. È una filosofia della natura (nome antico della moderna fisica), che medita sulle prerogative del mondo naturale interpretandole con una prospettiva spirituale. In realtà, l’alchimia è una scienza millenaria le cui origini sono sconosciute: già i grandi sacerdoti egizi erano eredi di qualcun altro. Eppure, gli egizi realizzarono maschere funerarie di oro alchemico così puro da sbalordire ancora oggi i chimici per la loro perfezione! Cosa faceva dunque un alchimista? Osservava, meditava, “pregava” (ossia meditava, entrava in uno stato di coscienza più profondo della veglia) ed operava in laboratorio. L’alchimista concepiva il mondo naturale fondandolo sui 4 elementi: fuoco, aria, acqua e terra (in ordine discendente), cui si applicavano i tre principi assoluti del cosmo, ossia zolfo (o anima, principio volatile), mercurio (o spirito, principio liquido) e sale (o corpo, principio fisso). Secondo l’alchimista, il cosmo era ordinato (kosmos significa proprio “ordine”) secondo questi principi naturali, applicati da Madre Natura ai quattro elementi fondamentali. Tutto qua: chi sapesse scovare il segreto della combinazione e del funzionamento di questi principi avrebbe avuto in mano la chiave dei misteri del mondo. Questo cercavano i filosofi della natura: conoscenza.

Joseph Leopold Ratinckx, Der Alchemist

Cosa dire, poi, in merito alla leggenda per cui l’alchimia è l’arte di mutare i metalli in oro? Questa è una metafora reale: l’oro si può tranquillamente fare su un fornello in casa propria, se il padrone di casa conosce le operazioni della Natura ed ha conquistato un livello di spirito sufficientemente elevato! All’alchimista non interessa minimamente la ricchezza materiale: interessa la conoscenza, il connubio perfetto di ragione e sentimento. L’alchimista sa che la materia fisica è “impura” e la sua Grande Opera consiste in un percorso di purificazione continua, fino alla meta finale: se parliamo di “uomo”, la purificazione di se stesso, se parliamo di materia la mondatura delle materie “vili” nella più preziosa, l’oro! Nelle prossime uscite approfondiremo meglio questi concetti di filosofia alchemica, perché il lettore possa apprezzare al massimo e magari intraprendere la ricerca. Ma è bene sin da ora spiegare ancora una cosa: l’alchimia è un percorso iniziatico, non ammette alcun tipo di “frivola passione”, ma solo un “eroico furore”. Chiunque non senta il richiamo di dedicare le sue ricerche all’Arte Regia non potrà mai ottenere nulla di profondo da essa: l’alchimia si “difende” da sé. Nella storia, moltissime persone anche molto potenti (re, imperatori, papi!) hanno tentato di sondarla per ottenere ricchezze, ma hanno avuto scarsissimi risultati, se non addirittura danni: perché? Perché non si può ingannare se stessi: solo chi è guidato dalla “bona via” ha lo spirito adeguato per seguire le ali di Mercurio. Ecco il motivo di tanta speculazione, tanta miscredenza, tanta cialtroneria intorno all’alchimia. Eppure, “lavoro di donne e gioco di bambini”, l’alchimia è alla portata di tutti: bisogna capire se si è pronti mentalmente, spiritualmente, coscientemente. Basta un po’ di comune sale da cucina, dell’acqua ed una pentola sul fornello per intraprendere una delle tante vie messe a disposizione dalla Grande Madre Iside (la Natura…), per iniziare a concepire i segreti del cosmo: ma per lo più, pentola, acqua e sale per noi semplicioni sono termini che preludono a un bel piatto di pasta col sugo…! Eppure, anche la cucina, se intesa da filosofi, è figlia di Mercurio… Un esempio pratico? Un alimento che tutti adottano in cucina è l’aceto, prodotto della fermentazione del vino. In alchimia, le tre fasi della Grande Opera, ovvero Nigredo, Albedo e Rubedo, sono rappresentate, a seconda della via che si sta seguendo, da operazioni pratiche che in primis decostruiscono la materia e poi la ricostruiscono migliorata: la fermentazione è una di queste e si pone a livello della Nigredo (o “opera al nero”). Ebbene, l’aceto importantissimo in alchimia: esso è utile per catturare l’anima dei metalli e dei minerali. Sciocchezze? Basta provare. Ad esempio, il mercurio, prima di essere usato per qualunque operazione, va “mondato”, ripulito in un bel bagno di aceto concentrato. Questo bagno ripulisce il mercurio dalle sue fecce e consente all’alchimista di usarlo per varie operazioni di laboratorio. Si pensi solo al fatto che persino alcuni scienziati del Cnr (centro nazionale di ricerca) abbiano seguito questi passi per dimostrare che il mercurio contiene oro! Un altro minerale che si sposa bene con l’aceto concentrato è l’antimonio, da cui si può ottenere la Pietra Filosofale, come ben spiegato in alcuni testi alchemici del maestro Basilio Valentino. L’antimonio sbriciolato viene lasciato in bagno, in “ammollo” nell’aceto che ne cattura la sua essenza minerale, per poterlo poi usare anche come antico rimedio farmaceutico (il leggendario “olio di antimonio”, capace di guarire malattie anche gravi). Non solo: il bagno in aceto, e poi l’aggiunta di altri minerali di determinata colorazione, consentiva agli antichi maestri costruttori delle cattedrali gotiche di realizzare quei favolosi vetri splendidamente colorati che possiamo ammirare negli edifici medievali. Quel vetro, che ancor oggi si chiama “vetro cattedrale” (pur non essendo più realizzato come nel medioevo) era effettivamente fatto di antimonio fuso. Nei prossimi articoli racconteremo qualche proprietà dei metalli e dei minerali, del loro uso e tratteremo qualche simpatico esperimento da sviluppare in modo semplice anche in casa, utilizzando l’acqua (della quale parleremo a parte, meritando essa un capitolo a sé).

Paolo Pulcina
(Articolo pubblicato sul numero di marzo 2015 della rivista "Mistero")

Ad ogni nuovo inizio...

... corrisponde sempre un afflato di Vita e di speranza. Non importa quanto difficile sia stato giungere sino a quel punto; quando si arriva alla poiesi, di colpo ci si rende conto di quanto chiaro e inevitabile (per quanto aspro) fosse il cammino che fino ad essa ci ha condotti.

La rivista Phaneron, a cui abbiamo iniziato a lavorare in questa calda calda estate 2016, nasce così. Con consapevolezza e sincero amore per la conoscenza.
Siamo lieti di condividere con voi tutti l'avvio di questo nuovo percorso. Nel frattempo, mentre noi ci dedichiamo al nostro lavoro di scribacchini, iniziamo a pubblicare su questo blog alcuni articoli che speriamo vi possano interessare.

Buona lettura a tutti.