mercoledì 31 gennaio 2018

Filosofia coi bambini: unico modo per recuperare una società libera, autonoma, autocritica

L’idea di progettare e programmare lezioni di filosofia per bambini compare negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e parte dalla constatazione che non è possibile garantire una società veramente libera e solidale se non si riuscirà a generare persone capaci di pensare per se stesse, nel quadro di un processo solidale e cooperativo di discussione. L’ispiratore, iniziatore e principale autore di questo progetto socioculturale è stato Matthew Lipman, ex professore all'Università di Montclair (New Jersey), scomparso nel 2010. Nella città statunitense si creò l’Istituto per lo sviluppo della filosofia per bambini (IPCA) come ente istituzionale per lo sviluppo del curriculum, i lavori di ricerca pedagogica e la formazione degli insegnanti.
Grazie all'IPCA, “filosofia per bambini” è oggi il nome di un vasto progetto educativo che si è andato introducendo un po’ in tutto il mondo. L’Italia, che pur vive validi tentativi in merito, è ovviamente rimasta al palo, dalla prospettiva ministeriale ed istituzionale. In Italia, sono i singoli, individui o piccoli gruppi, a tentare di animare l’idea di regalare il pensiero filosofico ai bambini delle scuole elementari: i Ministri che si sono succeduti, almeno negli ultimi 25 anni, hanno sempre completamente ignorato la possibilità di rendere la filosofia un insegnamento istituzionalizzato, preoccupandosi, al contrario, di smantellare la “madre di ogni sapere” anche dagli istituti superiori dove oggi è ancora insegnata.

Un altro grande attore internazionale della filosofia per i bambini è José María Calvo, che implementò i principi e i fondamenti della filosofia per bambini nei suoi corsi di liceo in Spagna. Il professore propizia un concetto di nuova istruzione basata su principi democratici ed esprime l'idea, diffusa fra i pensatori esistenzialisti, che l'essere umano è un progetto che “si fa”, si realizza, si produce, sia a livello personale che sociale.
Ora, per Calvo (come per numerosi altri pensatori), questo “farsi” si attua attraverso l’istruzione che, in questo modo, acquista un significato vitale, esistenziale. Per compiere la sua missione, essa deve avere caratteristiche democratiche e tolleranti, per poter così adeguarsi alle esigenze umane del momento. L’autore riprende l’idea che l’istruzione sia una prassi, un’arte (pedagogia come arte dell’educazione) che si impara solo studiando i comportamenti all’interno delle aule, senza trascurare naturalmente gli apporti teorici che gli esperti possono apportare.

L’aspirazione di coloro che si dedicano all’insegnamento della filosofia ai bambini è di “insegnare a pensare”: non importa che tu conosca vita e opere di un filosofo, il suo pensiero approfondito sin nei suoi meandri, ma è importante che i bambini sappiano che “si può parlare persino di cose così strane come i ragionamenti e le interpretazioni, e che ognuno può commentarle e stravolgerle, se possiede altri ragionamenti da proporre”.

Filosofia alle elementari: immagine tratta dal sito de
"La Repubblica - Milano"
Attraverso la filosofia si deve offrire all’alunno la possibilità di acquistare le strategie, le procedure e gli atteggiamenti propri del pensare filosofico: il dialogo, l’argomentazione e l’atteggiamento critico serviranno allora affinché gli studenti imparino a pensare autonomamente.
Il professor Calvo concorda con i seguaci di questo sistema: i bambini hanno l’obiettivo di raggiungere l’acquisizione di un pensiero critico e creativo, di formarsi nella società della libertà di espressione (la parresìa).
Calvo concorda anche e soprattutto con la teoria per cui lo studente è il protagonista del suo apprendimento: è lui stesso a sviluppare un apprendimento significativo nella misura in cui scopre il significato di ciò che impara. In contrapposizione a quanto sostenuto e realizzato dalla Pubblica Istruzione, per cui il contenuto didattico è ben più cogente rispetto al significato di ciò che sto studiando, rendendo così l’insegnamento e il docente come “esperti” da imporre, il modello del programma “filosofia per bambini” si propone di recuperare il ruolo attivo dello studente come costruttore delle proprie conoscenze. Questa costruzione è possibile solo attraverso il dialogo con gli altri (Socrate e Platone saranno serviti a qualcosa, no?), donde l'importanza di favorire nell’aula la instaurazione di una comunità di ricerca: uno dei princìpi fondamentali del programma è il concetto che si impara solo e meglio in comunità (come postulato, fra altri, da John Dewey).
Questi concetti sono in linea con una visione della conoscenza che supera la tradizionale concezione speculare della stessa come riflesso della realtà, e la concepisce come una perpetua costruzione sociale, sempre in evoluzione (pragmatismo contro dogmatismo), fissando il traguardo ideale di una conoscenza capace di manifestarsi in un’applicazione pratica. Teoria e prassi si corroborano per un fine splendido: migliorare la qualità della vita sociale ed individuale dell’umanità. Progetto ambizioso, si dirà, ma è oggi reputato utopia soltanto perché non si vuole renderlo reale: è molto più comodo diseducarsi e viziarsi che educarsi e farsi virtuosi. E i risultati sono palesemente evidenti, banali, oramai… Se lo studente è il centro e il soggetto dell’istruzione, è indispensabile che la filosofia si offra all’alunno in modo tale che si riconosca vitale e necessaria. Per portare a termine un modello educativo come quello del programma IPCA, sono necessarie determinate condizioni: l’adozione di un modello attivo di istruzione, una preparazione adeguata dei docenti, la creazione di una comunità di ricerca e l’impiego di materiale significativo e fruibile per gli studenti. È imprescindibile anche il superamento di un concetto tribale di istruzione, vale a dire quel che la considera come una semplice trasmissione culturale da parte degli adulti, riservando agli allievi un atteggiamento passivo. In questo clima democratico, lo studente può prepararsi per la sua futura vita attiva nella società, perché sarà sviluppato il pensiero autonomo, critico e creativo, aperto al dialogo e alla tolleranza. In base al principio secondo cui “la filosofia non si impara, ma si vive o si fa”, nel programma di filosofia per bambini non si impara ciò che i filosofi hanno detto, ma si fa ciò che essi stessi hanno fatto: la classe non si limita ad apprendere filosofia, ma in essa, innanzi tutto, si fa filosofia.

Secondo Calvo (e lo possiamo davvero condividere appieno) le differenze fra l’educazione tradizionale-istituzionale e il nuovo concetto educativo risiedono in questi punti:

Educazione tradizionale:
- importante non è la persona che apprende;
- importante sono le materie ed il docente nel ruolo di esperto;
- lo studente continua ad essere un “mezzo” e non un “fine”; la finalità è, invece, approvare il metodo, ottenere i risultati, diplomarsi e laurearsi;
- più che apprendimento si tratta di insegnamento e studio.

Educazione innovativa:
- lo studente è il protagonista del suo apprendimento;
- il solo vero elemento importante è la persona che apprende;
- le materie curricolari devono essere “a servizio” dello studente;
- l’apprendimento significativo sarà determinato dallo studente medesimo;
- il “significato” non può essere insegnato, bensì ogni essere umano deve scoprirlo per proprio conto.

Il nuovo concetto di istruzione ha bisogno di una nuova struttura curricolare che assicuri a sua volta una istruzione significativa che tenda a sviluppare nelle persone menti riflessive e critiche. Josè Calvo ritiene che la filosofia per bambini costituisca un elemento fondamentale nella riforma educativa del suo Paese ed elenca i vantaggi che comporta quel progetto: in primo luogo sottolinea l’importanza del pluralismo e la presentazione della filosofia attraverso racconti che facilitano la scoperta della realtà da parte di bambini e adolescenti. Un’altra delle benedizioni ponderate del programma è che gli studenti si abituino a pensare da se stessi sui temi importanti della vita, a prendere coscienza delle responsabilità come esseri umani.
Il nostro obiettivo: elaborare una pedagogia che insegni ad apprendere, ad apprendere per tutta la vita dalla vita stessa” (Rudolf Steiner).

Paolo Pulcina