mercoledì 28 febbraio 2018

Umanità assortite

«Vi è mai capitato di guardare le comiche? E' uno spettacolo tremendo! Si ride solamente perché qualcuno si fa male: se cade, se riceve un pianoforte sulla testa, se gli crolla la casa... Se i poliziotti lo inseguono e magari lo riempiono di botte... Si RIDE per le DISGRAZIE altrui. E' terribile! Non trovate?»

Questo l'incipit dello spettacolo Umanità assortite, messo in scena domenica scorsa, 25 febbraio, dalla talentuosa compagnia costanzanese La Quarta Parete, con la regia di Max Bottino.
In effetti, le storie raccontate dai nove attori non sono a lieto fine né edificanti: «Poca bontà, nessuna barzelletta... Queste cose esistono. E non sono rare, lo sappiamo. Ma abbiamo scelto... sì, abbiamo scelto il peggio!». Dal racconto dello stupro di Franca Rame a Lo spazio bianco di Valeria Parrella, passando per Gli sdraiati di Michele Serra, i nove monologhi (recitati da Luisa Facelli, Concetto Burderi, Antonio Maria Porretti, Raffaella Pretta, Carmine Fra, Maria Raiteri, Max Bottino, Nadia Sgnaolin, Massimiliano Francese) raccontano un'umanità disastrata, sofferente, ferita - per la quale a poco servono perfino le "maschere" del teatro. Una madre che lotta per nutrire la propria neonata morente, una donna stuprata, un padre disarmato... e molti altri. Non vi è quasi rappresentazione, bensì testimonianza.
A seguire, nella seconda parte dello spettacolo, nel (vano!) tentativo di dare una risposta ai principali quesiti esistenziali emersi nel corso dei monologhi, interviene il filosofo Paolo Pulcina (co-autore della favola filosofica Sette stanze d'alberi e d'acqua, che da anni si occupa della filosofia insegnata ai bambini) che, con il consueto garbo e umorismo, stimola una divertita e coinvolta platea a riflettere su alcuni quesiti cruciali: chi siamo, realmente? Possiamo essere certi della realtà che ci circonda? E infine: che cos'è la "Verità" che molti di noi sembrano ricercare in questa esistenza?
Interrogativi che, è inutile precisarlo, sono destinati a restare senza risposta.

Eloisa Massola

domenica 25 febbraio 2018

Simone Berni, il più grande "cacciatore di libri" italiano

- Come ha cominciato l'avventura di cacciatore di libri? Cosa l'ha spinta?
Ho sempre avuto un’inclinazione naturale nel dare la caccia ai libri strani e particolari. Ero un “cacciatore di libri” molto prima di rendermene effettivamente conto. Ho però cominciato circa 16-17 anni fa e lo faccio sul serio da 10-12. Mi sono ispirato inizialmente a un booksearcher di New York, Michael Sober, al quale mi rivolgevo per trovare libri americani agli albori di Internet. Allora si lavorava col fax. Io gli mandavo le liste e lui, immancabilmente di notte, a causa del fuso orario, mi faceva avere le sue risposte. Era un bel momento quando mi scriveva che aveva trovato il libro che gli avevo commissionato in un paesino dell’Oregon o a Cabot Cove, nel Maine, magari a casa di Jessica Fletcher. Con gli anni mi è venuto naturale imitarlo un po’. Costruirmi la mia rete di librai, di venditori, che potevano farmi da supporto. L’idea non era nata come business – non lo è neppure adesso – ma solamente per “aiutare la gente a trovare libri”. Poi, con l’avvento della rete, è cambiato tutto. Le distanze si sono azzerate ed è nato il mercato globale.

- E' possibile far diventare questa passione un mestiere?
Sì, è possibile ma nel mio caso pure estremamente difficile. Io mi occupo quasi esclusivamente di “edizioni povere”, libri del ‘900 e degli anni 2000, che non hanno grosse valutazioni di mercato. Non rincorro Aldine o cinquecentine da centomila euro, non è il mio campo. Ho un lavoro esattamente come tutti quanti, che non ha nulla a che vedere coi libri. Mi metto però il costume da supereroe ad ogni “chiamata”, e così mi trasformo per partire per le mie ricerche, e mi butto in viaggi anche strampalati quando vado a inseguire un’idea, un’intuizione. In quei momenti, magici, io sono veramente me stesso e riesco a trovare libri rari al mercatino della frutta di Karaganda, in Kazakistan, come alla bancarella di libri di seconda mano alla Festa della Lega Nord di Chieri. Entrambe le circostanze rispondenti al vero. Prime edizioni di Gianni Rodari nel primo caso e un Pinocchio fascista piuttosto raro nel secondo.

Il "cacciatore di libri" Simone Berni.
Quale è stata la sua "conquista" più difficile? Di quale va più orgoglioso?
Domanda che mi fanno tutti, scusate la franchezza! Rispondo citando sempre un libro diverso, come faceva Umberto Eco. E stavolta tocca a Vita da uomo, di J. D. Salinger (Gherardo Casini Editore, 1952), ossia la prima vera edizione de Il giovane Holden. Trovato per 10 euro su Internet; copia in condizioni perfette, mai aperto.

- E' dispendioso creare una collezione di libri introvabili? E' un investimento o un "vizio a perdere"?
Enrico, il mio agente romano che ogni domenica mi manda un resoconto sui libri interessanti presenti al mercatino di Porta Portese, e che io immancabilmente pubblico sul mio sito www.cacciatoredilibri.com, è l’esempio vivente di come, attraverso la perseveranza, la costanza e la diplomazia, sia possibile trovare un gran numero di libri rari, altrimenti costosi e irraggiungibili; e trovarli a prezzi modici, talvolta praticamente gratis. Per riuscirci bisogna “stare sul pezzo”, muoversi tra le bancarelle, arrivare presto la mattina, frequentare i venditori giusti, farseli amici, stare sempre con gli occhi bene aperti. L’occasione arriva. Va saputa cogliere. Con questi criteri si parla di investimento. Se si comprano libri rari e introvabili a cento euro l’uno, è chiaramente un vizio a perdere.

- Cosa cerca nei libri introvabili?
L’ebrezza di poter dire: «Ecco, io ce l’ho!». Ma più spesso cerco un senso di appagamento, che però non arriva mai, e quando c’è dura un secondo appena. Perché subito l’attenzione viene catturata da un nuovo libro, da una nuova delicata preda su cui scatenare la prossima caccia.

- Quale potrebbe essere il suo reperimento più leggendario, ancora da compiere?
Non risponderei a questa domanda neanche sotto tortura, è un po’ come mettere il vostro cappello e io non voglio farlo. A Palermo si prevede una battaglia! (In questa risposta sono contenuti indizi sparpagliati sulla mia prossima caccia!!)

Per ulteriori informazioni su Simone Berni, si veda il sito www.cacciatoredilibri.com.

Intervista realizzata da Paolo Pulcina





martedì 13 febbraio 2018

«I nemici di un popolo sono coloro che lo tengono nell’ignoranza»

Un ricordo di Thomas Sankara

Era il 15 ottobre 1987 quando Thomas Sankara, conosciuto prosaicamente come il Che Guevara africano, venne assassinato durante una lezione sportiva pomeridiana, dai suoi stessi comagni di rivoluzione.
Il giovane capitano diventò presidente del Burkina Faso (allora Alto Volta), la “terra degli uomini integri”, il 4 agosto 1983 con un colpo di stato e da quel momento mise in atto una vera e propria ristrutturazione rivoluzionaria nel suo Paese: nazionalizzò le terre e le distribuì ai contadini, statalizzò le ricchezze minerarie, avviò campagne di alfabetizzazione e vaccinazione, si scontrò con gli organismi finanziari internazionali, promuovendo di non pagare il debito estero, promise l’autosufficienza per evitare di vivere dell'aiuto esterno e stimolò, così come nessuno ha mai fatto in Africa, i diritti della donna.

Ma, al di là del mito, chi era Thomas Sankara in realtà? Chi lo ha conosciuto bene e ha condiviso con lui le stesse speranze e gli stessi timori, ha raccontato del Sankara più umano a distanza di anni dopo la sua morte. Marie-Angélique Savané spiega che Sankara «aveva un carisma straordinario, era pieno di forza e di energia. Quando entrava in una stanza era impossibile non ammirarlo e stare a vedere che cosa avrebbe detto».
Profondissima la sua ammirazione che ancora oggi nutre per il presidente. Nel 1983, anno del suo arrivo al potere, questa donna senegalese lavorava alle Nazioni Unite e presiedeva la prima associazione femminista del Senegal. Racconta di essere sempre stata contraria ai colpi di stato, pensando che non fossero il metodo adeguato per l’ascesa al governo. Ma in quegli anni, in Africa, non c’era traccia di libertà di espressione, né di alternanza, né di una vera democrazia. E Thomas Sankara arrivò con le migliori idee progressiste, con il suo discorso vicino al popolo, perchè non era il classico militare. In molti, come Savané, hanno fatto il possibile per conoscerlo, per ascoltarlo. Poco dopo il golpe, Marie-Angélique era in missione in Burkina Faso e chiese un’audizione con il presidente.  La funzionaria racconta che fu uno scambio fraterno, che venne colpita dalla sua gioventù (Sankara aveva solo 33 anni, due anni meno di lei). Era un capitano dell’esercito diplomato all’accademia nazionale ed aveva perfezionato la sua formazione all’estero e, beninteso, aveva perciò la sua maniera autorevole di dire le cose: con lei si mostrò sempre estremamente aperto e attento. Ricorda anche che le disse di conoscere molto bene l'esercito, ma che non era economista, né sociologo, né politologo e che, pertanto, voleva attorniarsi di gente ben preparata per trarre il Burkina Faso fuori della miseria.
Sankara tagliò drasticamente la spesa pubblica (o, meglio, lo sperpero di denaro pubblico), combattè ferocemente la corruzione, girava senza scorta e senza autista su una utilitaria Renault, spesso in bicicletta andava a conoscere direttamente la vita delle persone più disagiate del Paese.

L'ossessione di Sankara, oltre che il principale obiettivo di ogni rivoluzione benevolente, era quello di migliorare le condizioni di vita del suo popolo. Che la gente potesse nutrirsi correttamente, vivere degnamente, accedere all'istruzione, esprimersi liberamente era lo scopo del suo lavoro quotidiano. Diede una svolta radicale all’economia della Nazione Burkinabé, concentrando tutti i suoi sforzi per lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, creando centinaia di mini-dighe, promuovendo e proteggendo la produzione locale di fronte ai prodotti importati che affliggevano la già misera economia nazionale. Respinse qualsiasi aiuto internazionale che assomigliasse a un’elemosina ed era d’accordo solamente nel gestire sostegni che contribuissero a facilitare gli obiettivi che il suo governo si era prefissato, con grande soddsfazione di molte Ong che vedevano in tale atteggiamento un modello di gestione dell’assistenza estera.

Come riportato anche da Wikipedia, in 4 anni 2 mesi di amministrazione, il governo Sankara fece quanto segue: vaccinati 2.500.000 bambini contro morbillo, febbre gialla, rosolia e tifo (l’Unicef stesso si complimentò), creati presidi di salute primaria in tutti i villaggi del Paese, aumentato il tasso di alfabetizzazione, realizzati 258 bacini d'acqua, scavati 1.000 pozzi e avviate 302 trivellazioni, realizzate 334 scuole, 284 dispensari-maternità, 78 farmacie, 25 magazzini di alimentazione e 3.000 alloggi, avviati programmi di trasporto pubblico (autobus), combattuti il taglio abusivo degli alberi, gli incendi del sottobosco e la divagazione degli animali, costruiti campi sportivi in quasi tutti i 7.000 villaggi del Burkina Faso, soppressa la capitazione e abbassate le tasse scolastiche da 10.000 a 4.000 franchi per la scuola primaria e da 85.000 a 45.000 per quella secondaria.
Quasi tutte queste riforme, estremamente innovative per un paese africano degli anni Ottanta, furono annullate dal susseguente regime di Blaise Compaoré.
Quest’ultimo era il vice di Sankara ai tempi della “rivoluzione del 4 agosto”, ma preferì adeguarsi al costume della corruzione, dopo che il presidente si inimicò Francia, Inghilterra ed Usa a causa della sua volontà di non restituire i soldi del debito, contratto dai precedenti politici corrotti dell’Alto Volta. Sankara è un esempio di virtù umana ineccepibile tanto che il manipolo di profittatori interno, affiliato al suo stesso governo e capeggiato dal “fratello Compaorè”, lo condannò a morte.
Ancora oggi vigono molte incertezze su cosa accadde davvero a Sankara e ai 12 collaboratori-ufficiali uccisi nell’attentato. È molto significativo, però, che Compaorè tentò di ostacolare ogni indagine sull’assassinio del presidente, rimanendo in carica come dittatore per oltre 20 anni, con l’appoggio delle  “famose democrazie occidentali”.

«Mentre i rivoluzionari in quanto individui possono essere uccisi,
nessuno può mai uccidere le idee» - T. Sankara.

Paolo Pulcina